"Come la cecità simulata può migliorare l'udito".
Topi adulti esposti per alcuni giorni a condizioni di completa oscurità mostrano un miglioramento dell'udito e una più intensa e più rapida attivazione di specifiche popolazioni cellulari della corteccia uditiva. Il risultato dimostra per la prima volta una plasticità corticale del cervello adulto che potrebbe aprire interessanti prospettive per la terapia di deficit sensoriali anche nell'uomo (red). In condizioni artificiali di oscurità è possibile ottenere un miglioramento dell'udito grazie a una ristrutturazione delle connessioni nella corteccia uditiva: è quanto ha documentato un nuovo studio sul modello animale pubblicato su “Neuron” da un gruppo di ricercatori dell'Università del Maryland e della Johns Hopkins University.
Questi fenomeni di compensazione tra diversi apparati sensoriali si osservano anche negli esseri umani, in particolare nei soggetti non vedenti dalla nascita o dalla prima infanzia, che mostrano un udito molto più sviluppato della norma. Finora tuttavia si riteneva che solo un cervello giovane avesse una plasticità tale da modificare le proprie connessioni tanto da potenziare l'udito.
In questa ricerca, gli autori hanno studiato alcuni topi di laboratorio, posti in condizioni di completa oscurità per un periodo di 6-8 giorni. Tornati alle normali condizioni di luce, i topi mostravano una vista inalterata, mentre il loro udito è apparso notevolmente migliorato.
Per dimostrarlo, I ricercatori hanno esposto i roditori a diversi suoni monitorando al contempo la risposta della loro corteccia uditiva, la regione cerebrale dedicata esclusivamente all'elaborazione degli stimoli sonori.
Più nello specifico, hanno testato la risposta di una particolare popolazione di neuroni compresi in una regione della corteccia uditiva detta strato talamocorticale ricevente, che riceve segnali dal talamo, considerato una sorta di stazione intermedia delle informazioni che provengono dai sensi.
Nei topi tenuti al buio, contrariamente all'ipotesi che lo strato talamo-corticale ricevente fosse una struttura poco plastica nei soggetti adulti, si è osservato che quei neuroni si attivavano in modo più rapido e più intenso quando percepivano i suoni, erano più sensibili ai suoni a basso volume ed erano in grado di discriminare meglio i diversi toni.
Gli animali hanno inoltre sviluppato un maggior numero di sinapsi tra il talamo e la corteccia uditiva. Dopo qualche giorno in condizioni di luce normali, tuttavia, l'udito è ritornato ai livelli precedenti, a ulteriore conferma della plasticità dell'area.
“Il fatto che questi cambiamenti siano intervenuti in una zona della corteccia la cui struttura è quasi identica in molti mammiferi porta a ipotizzare che la flessibilità sia un tratto fondamentale del cervello dei mammiferi", spiega Patrick Kanold, uno degli autori della ricerca. “Non sappiamo per quanti giorni dovrebbero restare al buio degli esseri umani per ottenere lo stesso effetto, né se sarebbero disposti a farlo, ma potrebbe essere una strada verso l'uso di training multisensoriali per correggere deficit in questo campo".
MarioBon ha scritto:Quindi è vero, come del resto possiamo sperimentare, che l'ascolto al buio favorisce il senso dell'udito ma, per avere maggiori vantaggi, si deve rimanere al buio per qualche giorno. Purtroppo i "vantaggi", tornati alle condizioni normali, si annullano con il tempo.