Concretezza del suono
Inviato: 03/07/2017, 9:19
Salve a tutti.
Sono nuovo del forum. Vi ho trovato dopo numerose ricerche in internet alla ricerca di un Forum che parlasse di psicoacustica, in quanto ho una domanda che mi frulla nella testa da mesi e, dopo tonnellate di ricerche e letture di testi, essa non ha ancora trovato risposta.
Dopo una dozzina di anni ad ascoltare e collezionare dischi, mi sono appassionato al sound design, alla teoria dei segnali, al DSP, e infine diciamo alla "teoria musicale" in profondità, arrivando appunto a intraprendere i primi passi dentro la psicoacustica.
Da qui è scaturito il mio "dubbio" musicale-esistenziale.
Partiamo con la definizione di "musica" (banalmente, da wiki): l'arte dell'organizzazione dei suoni e rumori nel corso del tempo e nello spazio.
Quindi, analizziamo gli elementi base di tutto ciò, ovvero il "suono".
Che può essere visto dal punto di vista fisico (movimento di particelle che si propagano tramite un mezzo, tipo l'aria) e percettivo (la sensazione auditiva di tale movimento nell'aria).
Per l'essere umano, è quindi il nostro sistema auditivo che traduce le onde sonore (fisiche) in percezione, dentro la nostra testa.
Esso viene "percepito" nelle sue quattro componenti principali: pitch, volume, timbro e localizzazione.
Ora, vado in studio e registro un pezzo, composto da vari elementi (quindi vari suoni che vengono organizzati tra di loro). Una chitarra, un synth, un basso, e una batteria, per esempio.
Una volta registrato, prendo il supporto e vado a riprodurlo, negli innumerevoli modi che ho a disposizione:
- diverse stanze/coppia di speakers
- diverse eq che simulano spazi diversi (o semplicemente esaltano range di frequenze diverse, a "piacimento")
- mi metto in diverse posizioni della stanza
e via dicendo, potendo raggiungere l'infinitesimo in termini di configurazioni.
Di che cosa mi accorgo ora avendo studiato anche la teoria?
Mi accorgo che:
- il pitch dei vari strumenti è preservato;
- il volume è una proprietà che regola semplicemente "l'intensità" del suono che percepisco (forte, debole);
- il timbro....
BOOM! Il timbro cambia. Ogni volta. Ogni instante. Ad ogni "esperienza sonora".
Essendo costituito da parziali, le loro relative amplitudini e il loro inviluppo nel tempo, i meccanismi di riproduzione alterano il timbro. SEMPRE. Del colore viene sempre aggiunto/alterato. Dalla frequenza di risposta dello speaker, all'eq dell'impianto, alla stanza in cui viene ascoltato il suono (che aggiunge riflessioni al campo sonoro), e altri innumerevoli fattori incidono su di esso.
Ovvio, non di molto. E i nostri meccanismi di pattern recognition ci permettono di "capire" (ragionando, avendo anche un'esperienza musicale alle spalle) che è lo stesso suono. Ma la musica, quella che si vive, quella che si ascolta, determinata appunto dal "suono", cambia ogni volta.
Al che la mia domanda: nella musica, in generale, il suono non può essere considerato concreto e determinato? Ogni volta che ascolterò una "canzone", essa sarà diversa dai precedenti ascolti, per via del layer aggiuntivo creato naturalmente dagli aspetti (fisici) di riproduzione che altera il suono?
Questo fatto implica una "voragine" nelle intenzioni artistiche del musicista. Poiché un "tocco" finale è sempre in funzione dell'ascoltatore.
Voi come la vedete? Pareri? Come la "vivete" voi la musica?
Spero in una "colorita" (per restare in tema) partecipazione
Sono nuovo del forum. Vi ho trovato dopo numerose ricerche in internet alla ricerca di un Forum che parlasse di psicoacustica, in quanto ho una domanda che mi frulla nella testa da mesi e, dopo tonnellate di ricerche e letture di testi, essa non ha ancora trovato risposta.
Dopo una dozzina di anni ad ascoltare e collezionare dischi, mi sono appassionato al sound design, alla teoria dei segnali, al DSP, e infine diciamo alla "teoria musicale" in profondità, arrivando appunto a intraprendere i primi passi dentro la psicoacustica.
Da qui è scaturito il mio "dubbio" musicale-esistenziale.
Partiamo con la definizione di "musica" (banalmente, da wiki): l'arte dell'organizzazione dei suoni e rumori nel corso del tempo e nello spazio.
Quindi, analizziamo gli elementi base di tutto ciò, ovvero il "suono".
Che può essere visto dal punto di vista fisico (movimento di particelle che si propagano tramite un mezzo, tipo l'aria) e percettivo (la sensazione auditiva di tale movimento nell'aria).
Per l'essere umano, è quindi il nostro sistema auditivo che traduce le onde sonore (fisiche) in percezione, dentro la nostra testa.
Esso viene "percepito" nelle sue quattro componenti principali: pitch, volume, timbro e localizzazione.
Ora, vado in studio e registro un pezzo, composto da vari elementi (quindi vari suoni che vengono organizzati tra di loro). Una chitarra, un synth, un basso, e una batteria, per esempio.
Una volta registrato, prendo il supporto e vado a riprodurlo, negli innumerevoli modi che ho a disposizione:
- diverse stanze/coppia di speakers
- diverse eq che simulano spazi diversi (o semplicemente esaltano range di frequenze diverse, a "piacimento")
- mi metto in diverse posizioni della stanza
e via dicendo, potendo raggiungere l'infinitesimo in termini di configurazioni.
Di che cosa mi accorgo ora avendo studiato anche la teoria?
Mi accorgo che:
- il pitch dei vari strumenti è preservato;
- il volume è una proprietà che regola semplicemente "l'intensità" del suono che percepisco (forte, debole);
- il timbro....
BOOM! Il timbro cambia. Ogni volta. Ogni instante. Ad ogni "esperienza sonora".
Essendo costituito da parziali, le loro relative amplitudini e il loro inviluppo nel tempo, i meccanismi di riproduzione alterano il timbro. SEMPRE. Del colore viene sempre aggiunto/alterato. Dalla frequenza di risposta dello speaker, all'eq dell'impianto, alla stanza in cui viene ascoltato il suono (che aggiunge riflessioni al campo sonoro), e altri innumerevoli fattori incidono su di esso.
Ovvio, non di molto. E i nostri meccanismi di pattern recognition ci permettono di "capire" (ragionando, avendo anche un'esperienza musicale alle spalle) che è lo stesso suono. Ma la musica, quella che si vive, quella che si ascolta, determinata appunto dal "suono", cambia ogni volta.
Al che la mia domanda: nella musica, in generale, il suono non può essere considerato concreto e determinato? Ogni volta che ascolterò una "canzone", essa sarà diversa dai precedenti ascolti, per via del layer aggiuntivo creato naturalmente dagli aspetti (fisici) di riproduzione che altera il suono?
Questo fatto implica una "voragine" nelle intenzioni artistiche del musicista. Poiché un "tocco" finale è sempre in funzione dell'ascoltatore.
Voi come la vedete? Pareri? Come la "vivete" voi la musica?
Spero in una "colorita" (per restare in tema) partecipazione