Concretezza del suono

L'udito, cosa udiamo, come udiamo
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MarioBon
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Re: Concretezza del suono

#81 Messaggio da MarioBon »

Io di orecchie ho solo le mie e non sono mai riuscito a sentire musica con le orecchie di un altro. Quindi non so cosa sentono gli altri e non so cosa fare per far sentire a tutti quello che voglio io.
Dall'altra parte, quando si progetta un diffusore acustico, lo si fa secondo dei criteri (che sono poi quelli che caratterizzano un particolare marchio). Ne segue che i diffusori di una certa marca suonano in un certo modo (ed ogni produttore pensa che il suo sia il modo giusto). Se poi ne vendi a centinaia o a migliaia vuol dire che hai soddisfatto la richiesta di una fetta di mercato. E non è nemmeno detto che la scelta di un diffusore sia sempre fatta in base a criteri di fedeltà (si può scegliere un prodotto per il prezzo, l'estetica, l'ingombro, il marchio, e chissà quanti altri motivi).
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iano
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Re: Concretezza del suono

#82 Messaggio da iano »

Felix ha scritto:Rispondo in grassetto nel quotato. Ma la questione è molto complessa per una trattazione così frettolosa.
MarioBon ha scritto:
Felix ha scritto:Premetto che faccio il musicista da più di 20 anni (oltre ad aver compiuto studi musicologici) e la questione se la musica debba o meno essere un linguaggio rimane per me (e non solo) tuttora apertissima.
Definiamo "linguaggio" un insieme di segnali codificati atto a trasmettere informazioni. Quale genere di informazioni debba essere trasmessa non ha importanza.
Per la lingua parlata i segnali sono i fonemi che vengono codificati in parole.

Bene. Hai detto segnali codificati atti a trasmettere informazioni, quindi triangolo significato-significante-referente. Ok. Si presuppone un codice condiviso. Quando affermo "Io sono qui", tutti quelli che conoscono la lingua italiana ne capiscono il senso. Se io suono Re, Fa, La non significo nulla a meno che non contestualizzi il tutto.

L'alfabeto Morse è la base di un linguaggio e richiede solo una vocale e il silenzio. Con la vocale si esegue un suono "lungo", un suono "breve" separati da una pausa di silenzio.
Se associamo il FA al suono lungo, il LA al suono breve e utilizziamo una pausa per separare i suoni possiamo trasmettere un testo (che sembrerà clacson di una corriera impazzita).
Questo non c'entra nulla. Al posto del Fa e del La potrei usare anche qualsiasi altro rumore, anche un peto più o meno lungo. In questo caso io riconosco dalla combinazione di peti lunghi e corti la lettera corrispondente. Ne riconosco una ed una sola senza pericolo di equivocare. Ho un significato UNIVOCO che mi permette di articolare il codice su una base condivisa.
Si potrebbe andare oltre e dimostrare che, sul "sistema musica" si può imporre la struttura di monoide non commutativo (la stessa del linguaggio parlato e della scrittura).
Cos'è il sistema musica? La scala diatonica "occidentale"? i microtoni orientali? John Cage?
Quindi, almeno tecnicamente, se la musica può riprodurre un linguaggio è essa stessa un linguaggio. Infatti abbiamo visto che possiamo usare le note con l'aiuto dell'alfabeto morse. L'armonia non sarà un gran che ma certamente di qualità non inferiore a certa musica tecno.
Ma tu qui fai un'operazione attributiva: con i fa e la ritmati a mo' di codice morse, io ascoltatore devo essere cosciente che quella combinazione di note vada a sottendere il codice sottostante. Diversamente la prendo per quello che è, e cioè un eufonia di fa e la con un pattern ritmico
Stabilito che il "sistema musica" è un linguaggio si tratta di capire quale tipo di messaggio si intende trasmettere.
Per me infatti questo non è per nulla stabilito
Per esempio Mozart, con il Requiem, voleva trasmettere un certo tipo di emozione. Ci è riuscito?
Se non conosciamo l'intenzione del compositore non possiamo giudicare se ha avuto successo nel trasmettere il suo messaggio. Nel caso del Requiem il titolo aiuta...
Poi possiamo ragionare su come tecnicamente ha scelto di trasmettere il messaggio. Se il Requiem fosse eseguito a velocità doppia solo con ocarina, ukulele e scacciapensieri trasmetterebbe le stesse emozioni?
Allora di propongo questo esempio: il primo contrappunto dell'Arte della Fuga di Bach. Non abbiamo qui nessun tipo di richiamo testuale, né ad un predeterminato affetto. Cosa mi vuole rappresentare?
E se il "canto della regina della notte" fosse eseguito a un quarto della velocità originale, due ottave sotto e usando solo corni tibetani, trasmetterebbe le stesse emozioni?
Appunto. E se fosse eseguito tutto con un Moog?
La tonalità, il tempo (ritmo) la scelta dei timbri (e tutto il resto) sono gli elementi di un linguaggio e concorrono a formare il messaggio.
Se cambiano (anche a parità di rapporti di altezza tra le note) il messaggio cambia.
Perdendo una delle sue funzioni primarie, quali la comunicazione univoca.
Gli esempi da te citati presentano però tutti richiami testuali. Un ascoltatore che ne riconoscesse la melodia, anche se accelerata o riprodotta con un altro strumento, ne conserverebbe comunque il background di conoscenze precedenti.
Io mi ricordo i fumetti di Tarzan,dove comunicavano col Tam Tam :D
Il linguaggio musicale rimane potenziale mezzo di comunicazione,forse evolutivamente scalzato dalle corde vocali.
Rimane comunque sempre a disposizione,mantenendo le sue potenzialità.
La domanda semmai è come il linguaggio parlato si è costituito coi suoi significati precisi,per cui se io dico "io sono qui" ,oppure dico "Tarzan Bundolo" tutti capiscono univocamente. :mrgreen:
Qualunque sia stato il modo,lo stesso modo vale per il linguaggio musicale.
Un linguaggio sempre in attesa di un significato.
Gli manca solo la parola. :D
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Polin
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Re: Concretezza del suono

#83 Messaggio da Polin »

non iano ma Mario Bon ha scritto:
Definiamo "linguaggio" un insieme di segnali codificati atto a trasmettere informazioni. Quale genere di informazioni debba essere trasmessa non ha importanza.
Per la lingua parlata i segnali sono i fonemi che vengono codificati in parole.
Esatto! credo però sia fondamentale ribadire che il linguaggio si è sviluppato unicamente per comunicare pensieri semplici o complessi attraverso fonemi tra loro legati seconda una precisa combinazione (se fosse stata possibile un'altra metodica ancora più immediata sarebbe quest'ultima ad essere tutt'ora utilizzata).
Nella musica in genere,a prescindere dalla presenza di un eventuale testo che vuole comunicare un messaggio specifico, non si è nelle condizioni di una forma di linguaggio vero e proprio.
Saluti
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iano
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Re: Concretezza del suono

#84 Messaggio da iano »

Forse hai sbagliato a quotare Polin.Lo ha scritto Bon.
Io non uso un linguaggio così univoco. :D
Al massimo riesco ad evocare qualcosa,proprio come fa la musica. :D
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MarioBon
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Re: Concretezza del suono

#85 Messaggio da MarioBon »

Polin ha scritto:
non iano ma Mario Bon ha scritto:
Definiamo "linguaggio" un insieme di segnali codificati atto a trasmettere informazioni. Quale genere di informazioni debba essere trasmessa non ha importanza.
Per la lingua parlata i segnali sono i fonemi che vengono codificati in parole.
Esatto! credo però sia fondamentale ribadire che il linguaggio si è sviluppato unicamente per comunicare pensieri semplici o complessi attraverso fonemi tra loro legati seconda una precisa combinazione (se fosse stata possibile un'altra metodica ancora più immediata sarebbe quest'ultima ad essere tutt'ora utilizzata).
Nella musica in genere,a prescindere dalla presenza di un eventuale testo che vuole comunicare un messaggio specifico,non si è nelle condizioni di una forma di linguaggio vero e proprio.
Pensieri semplici neanche tanto basta leggere "ascoltare" la dimostrazione di certi teoremi.
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Re: Concretezza del suono

#86 Messaggio da iano »

MarioBon ha scritto:
Polin ha scritto:
non iano ma Mario Bon ha scritto:
Definiamo "linguaggio" un insieme di segnali codificati atto a trasmettere informazioni. Quale genere di informazioni debba essere trasmessa non ha importanza.
Per la lingua parlata i segnali sono i fonemi che vengono codificati in parole.
Esatto! credo però sia fondamentale ribadire che il linguaggio si è sviluppato unicamente per comunicare pensieri semplici o complessi attraverso fonemi tra loro legati seconda una precisa combinazione (se fosse stata possibile un'altra metodica ancora più immediata sarebbe quest'ultima ad essere tutt'ora utilizzata).
Nella musica in genere,a prescindere dalla presenza di un eventuale testo che vuole comunicare un messaggio specifico,non si è nelle condizioni di una forma di linguaggio vero e proprio.
Pensieri semplici neanche tanto basta leggere "ascoltare" la dimostrazione di certi teoremi.
Mi pare appunto che Polin intendesse che un linguaggio "economico" ,ma non per questo povero di potenzialità,alla fine si afferma sugli altri,proprio come fra le tante possibili dimostrazioni di un teorema si affermano e si riportano più spesso quelle più immediate.
Se facendo delle misure scopro che il quadrato costruito sull'ipotenusa vale la somma dei quadrati costruiti sui cateti tanto basta per usare questa conoscenza per fini pratici.
Se voglio affermare essere una verità devo dimostrarlo,e se la prima dimostrazione che trovo è complicata non importa.
E fino a qui non mi resta che prendere atto di questa verità.
Se poi trovo dimostrazioni alternativa questo equivale ad osservare la stessa verità da più punti di vista,e non certo a rendere più vero il teorema.
Se poi fra queste ne trovò una tanto semplice da far risultare l'enunciato banale,cosa che all'inizio non era data,allora posso dire di aver acchiappato il vero significato del teorema.
Dal punto di vista delle applicazioni pratiche da cui ero partito non sembra apparentemente che abbia guadagnato nulla di strettamente necessario,ma da un punto di vista psicologico adesso uso uno strumento al quale posso dare del tu,e che diventa parte di me.Il suo uso adesso è più immediato,ed iniziò ad usarlo quasi senza più pensarci.
Semplificare non è semplice ma vale come capire.
Certi brani musicali non sembrano prestarsi a trascrizioni,modifiche,varianti,riduzioni,senza perdere la loro essenza,perché quel brano,per quanto possa apparire complesso,appare banalmente perfetto.
Attraverso il linguaggio musicale appunto a volte si ha l'impressione di acchiappare in un sol colpo un qualcosa che diversamente,usando altri linguaggi, richiederebbe tanti passaggi per giungervi.
La mancanza di questi passaggi forse ci preclude il potergli attribuire un significato preciso.
Come si fa a banalizzare la musica,che infatti rimane una magia sublime,lo stesso senso di magico che si prova quando apprendiamo per la prima volta il teorema di Pitagora.
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Polin
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Re: Concretezza del suono

#87 Messaggio da Polin »

MarioBon ha scritto:
Polin ha scritto:
Esatto! credo però sia fondamentale ribadire che il linguaggio si è sviluppato unicamente per comunicare pensieri semplici o complessi attraverso fonemi tra loro legati secondo una precisa combinazione (se fosse stata possibile un'altra metodica ancora più immediata sarebbe quest'ultima ad essere tutt'ora utilizzata).
Nella musica in genere,a prescindere dalla presenza di un eventuale testo che vuole comunicare un messaggio specifico,non si è nelle condizioni di una forma di linguaggio vero e proprio.
Pensieri semplici neanche tanto basta leggere "ascoltare" la dimostrazione di certi teoremi.
Non cambia comunque la finalità del linguaggio sia esso semplice o complesso!
Le applicazioni del linguaggio poi possono essere varie e molteplici (vedi Gorgia).
iano ha scritto:
Mi pare appunto che Polin intendesse che un linguaggio "economico" ,ma non per questo povero di potenzialità,alla fine si afferma sugli altri,proprio come fra le tante possibili dimostrazioni di un teorema si affermano e si riportano più spesso quelle più immediate.
Vero!
Una economia del linguaggio la si può evincere dalla pratica della logica (vedi Aristotele).
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Re: Concretezza del suono

#88 Messaggio da MarioBon »

Polin ha scritto: Una economia del linguaggio la si può evincere dalla pratica della logica (vedi Aristotele).
Forse Aristotele non è l'esempio migliore perché a definito oltre 200 tipi di sillogismo per poi capire che solo una minoranza di questi erano validi.
Se avesse introdotto la "condizione sufficiente" avrebbe definito un unico tipo di sillogismo: quello dove la premessa rappresenta, appunto, una condizione sufficiente.
Crisippo di Soli terzo maestro della scuola antica di Stoa, cogliendo questa limitazione in Aristotele, definì i 5 assiomi (5 sillogismo "semplici" e sempre verificati).
Se Archimede non cita mai Aristotele doveva avere i suoi buoni motivi. Leibniz attribuisce ad Archimede la definizione delle condizioni di esistenza (condizioni necessaria, sufficiente e necessarie e sufficiente).
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Re: Concretezza del suono

#89 Messaggio da Polin »

MarioBon ha scritto: Se Archimede non cita mai Aristotele doveva avere i suoi buoni motivi. Leibniz attribuisce ad Archimede la definizione delle condizioni di esistenza (condizioni necessaria, sufficiente e necessarie e sufficiente).
E' ovvio che la filosofia, che inglobava anche la matematica, si basava su assiomi e postulati... Nonostante tutto, però, nessuno di questi eminenti studiosi del passato può considerarsi fautore di verità incontrovertibili!
Saluti
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Re: Concretezza del suono

#90 Messaggio da MarioBon »

Polin ha scritto:
MarioBon ha scritto: Se Archimede non cita mai Aristotele doveva avere i suoi buoni motivi. Leibniz attribuisce ad Archimede la definizione delle condizioni di esistenza (condizioni necessaria, sufficiente e necessarie e sufficiente).
E' ovvio che la filosofia, che inglobava anche la matematica, si basava su assiomi e postulati... Nonostante tutto, però, nessuno di questi eminenti studiosi del passato può considerarsi fautore di verità incontrovertibili!
I 5 teoremi di Talete, i Principi della Logica di Parmenide, Il ragionamento per assurdo di Zenone di Elea, il Teorema di Pitagora, la Geometria Euclidea, Il Principio di Archimede (idrostatica), I 5 teoremi di Crisippo (logica), lo studio delle coniche di Apollonio.... hanno resistito fino ad oggi e resteranno valide in futuro. Tra le intuizioni più brillanti, anche se oggi sono state corrette per alcuni aspetti, va citata la coppia Leucippo-Democrito (gli atomi ed il vuoto).
Purtroppo è Aristotele quello che ne ha indovinate di meno (specie in Fisica).
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