Le analogie Elettromeccaniche (vecchie e nuove) (cc)

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Le analogie Elettromeccaniche (vecchie e nuove) (cc)

#1 Messaggio da MarioBon »

Nota: quasi finito...aggiunti due post.
Questa breve trattazione intende evidenziare i limiti all'interno dei quali è consentito utilizzare certi modelli. Viene poi spiegato che una tromba non è un trasformatore e che una linea di trasmissione non è un reflex (e altre cose...).

Le analogie, in generale, furono introdotte da James Clerk Maxwell (1831 – 1879) nella seconda metà del 1800, vennero poi riprese da Olson (che ne fece la tesi di laurea), riprese nel suoi libri successivi (a partire dal 1943 in "Dynamical Analogies") e quindi ancora riprese da Beranek nel suo libro "Acoustics" del 1954. Da lì in avanti tutti gli autori hanno fatto praticamente copia-incolla.
Maxwell introduce le analogie sulla base della similitudine delle equazioni che risolvono determinati sistemi. Questo approccio è valido ma non è supportato da una teoria. In effetti la Teoria degli Insiemi venne pubblicata (nella sua prima stesura) da Cantor nel 1876 e Maxwell probabilmente non ebbe modo di conoscerla (muore nel 1879) e, anche se l'avesse conosciuta, non vi avrebbe trovato gli isomorfismo che furono definiti più tardi.
Nel corso degli anni i matematici si sono impegnati per dare una solida formulazione assiomatica alla Teoria degli Insiemi ed alla Matematica tutta arrivando a definire gli spazi vettoriali (attorno al 1940) fino agli spazi di Hilbert. Con la definizione degli spazi di Hilbert (così chiamati da Von Noumann in onere di David Hilbert che li aveva teorizzati) diventano disponibili gli strumenti per trattare computamente la Teoria delle Comunicazioni, dei Sistemi, delle Reti, l'Elettronica, ecc..
Per definire in modo consistente le analogie si deve passare per gli isomorfismi che sono particolari corrispondenze biunivoche tra sistemi. Qui non si parlerà nel dettaglio di isomorfismi. Nel seguito però si mostrerà che, se ci si limita all'approccio euristico, si rischiano delle cantonate.
Maxwell era scozzese, Cantor era tedesco di origine russa, il gruppo Bourbaky era francese...fatto sta che nella letteratura anglossane, e in particolare americana ed australiana, non c'è nemmeno un cenno agli isomorfismi. Il risultato è che ancora oggi le analogie vengono giustificate, quasi ovunque, euristicamente (che significa intuitivamente).
Se la Teoria degli Insiemi fosse insegnata nelle scuole (come previsto dai programmi ministeriali del 1963) molti argomenti sarebbero più chiari e più semplici da apprendere.
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#2 Messaggio da MarioBon »

Quando si progetta un amplificatore per uso audio, non si può prescindere dal fatto che il suo carico sarà un altoparlante. Il problema dell'altoparlante, visto, dall'amplificatore, è che rappresenta un carico che non è puramente resistivo.
Per questo risulta particolarmente comodo poter trasformare l'altoparlante stesso (che è un oggetto meccanico con mosso da una corrente) in un dipolo elettrico che può essere collegato all'amplificatore e "messo nel conto" (per esempio unsato con un simulatore tipo SPICE).
In questo modo è possibile progettare un amplificatore tenendo conto delle "effettive condizioni d'uso" almeno per quanto riguarda il carico.
Alla fine lo studio di un dispositivo acustico che arica un altoparlante a sua volta collegato all'uscita di un amplificatore viene trasformato in un circuito elettrico che consente di simulare l'intero sistema come se fosse omogeneo.
In questo sta il vantaggio delle analogie unito anche al fatto che in ambito elettronico sono state sviluppate tecniche di calcolo molto semplici e potenti (per esempio i diagrammi di Bode).
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#3 Messaggio da MarioBon »

continua
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#4 Messaggio da MarioBon »

Le analogie elettro-acustiche vengono trattate nella letturatura anglosassone in modo euristico limitandosi ad osservare la corrispondenza delle equazioni che descrivono alcuni semplici sistemi (e il link postto non fa eccezione). Per esempio Beranek "Acoustics" capitolo 3 (edizione del 1954-1996). Di solito ci si limita ad osservare queste corrispondenze:
Immagine
In particolare l'analogia viene stabilita sulla base della similitudine delle due equazioni in basso a destra.
Questo approccio, più semplicistico che semplice, evita di dovere introdurre gli isomorfismi che sono argomento poco conosciuto. Diciamo che è un approccio ingegneristico.
Se si scrive la matrice di trasmissione (o di impedenza) di un trasformatore e di una tromba ci si accorge subito di una cosa: nella matrice della tromba compaiono le funzioni seno e coseno che, nella matrice che rappresenta il trasformatore, non ci sono.
Ne segue che vengono a cedere i presupposti per stabilire l'analogia tra i due sistemi perchè manca:
- corrispondenza biunivoca tra gli elementi dell'insieme di supporto
- corrispondenza biunivoca tra le strutture (le operazioni)
- corrispondenza biunivoca tra i risultati di operazioni corrispondenti eseguite su elementi corrispondenti dei due sistemi.
La terza condizione è la più stringente.
Si può controbattere dicendo che anche Beranek ha scritto che una tromba (o meglio un raccordo) è l'analogo di un trasformatore ma, Berank, almeno, ha circoscritto tale analogia ad un certo range di frequenze, oltre tale range le cose cambiano ("Acoustics" pagg 139 e sucessive).
Quindi non è corretto affermare, in generale, che una tromba sia l'analogo di un trasformatore e, se lo si fa, si deve almeno circoscrivere la validità di tale affermazione.
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#5 Messaggio da MarioBon »

Questa tabella (ottenuta collezionando le immagini da Olson "Dynamical Analogies" del 1943) riporta degli esempi di elementi elettrici ed acustici corrispondenti nella analogia.
Immagine
L'analogo del "tubo lungo" come linea di trasmissione lo ho aggiunto io e si deve intendere valida quando la lunghezza del tubo è maggiore (o almeno paragonabile) con la lunghezza d'onda del suono che transita nel tubo stesso. Negli schemi di Olson appaiono dei diaframmi che devono essere considerati "ideali" cioé, a seconda delle esisgenza, privi di massa e/o elasticità e/o perdite.
L'analogo del trasformatore, grazie alla presenza dei due diaframmi, è corretta. Stranamente questa rappresentazione non è stata poi ripresa da alcuno.
Le corrispondenza mostrate nella tabella sono corrette? Si e no.
No se si intende in assoluto,
Si se si danno i limiti di validità.
Per esempio un tubo si rappresenta con una induttanza (o una massa) se è "corto" rispetto alla lunghezza d'onda. Un volume si rappresenta con un condensatore (o una molla) se le sue dimension sono "piccole" rispetto alla lunghezza d'onda (ad un certo punto c'è propagazione e si formano i modi normali...). In sostanza tutte queste rappresentazioni valgono a "bassa frequenza" ovvero finchè la lunghezza d'onda è "grande" rispetto alle dimensioni. In effetti in elettronica la lunghezza d'onda del segnale è molto maggiore delle dimensioni del circuito ben oltre la banda audio. In acustica, invece, le dimensioni dei dispositivi, per funzionare, devono essere paragonabili alla lunghezza d'onda in gioco. Fa eccezione la linea di trasmissione dove però le dimensioni della sezione devono essere "piccole" rispetto alla lunghezza del condotto ed alla lunghezza d'onda altrimenti si devono tenere in conto anche i modi perpendicolari alla direzione di propagazione.
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Re: Le analogie Elettromeccaniche (vecchie e nuove)

#6 Messaggio da MarioBon »

Altra condizione da osservare è che un elemento si comporti come un lemento ben definito (massa, molla, smorzatore, ecc.) altrimenti si generano degli "elementi misti" difficili da decifrare. Nella figura che segue un esempio di elemento misto (un cilindro con due fori).
In questo caso, anche se si può tracciare il circuito equivalente, non è facile determinare i valori di MA e CA.
Immagine
L'altra cosa da notare è che i circuiti elettrici sono sostanzialmente monodimensionali nel senso che le tensioni e le correnti dipendono da due nodi e dal tempo. Un campo acustico dipende dal tempo e dalle tre coordinate spaziali. Non ci si può aspettare che l'analogo di un dispositivo acustico possa rappresentare la propagazione del suono nelle tre dimensioni. Questo può portare a commetere degli errori di valutazione.
Le analogie sono uno strumento isostituibile nella progettazione ma vanno usate nei limiti della validità dell'isomorfismo tra i sistemi analoghi: si deve fare la massima attenzione alle ipotesi poste alla base della validità dei modelli.
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Re: Le analogie Elettromeccaniche (vecchie e nuove)

#7 Messaggio da MarioBon »

Uno dei problemi della letteratura anglossassone è l'eccesso di semplificazione. Anche questo porta a interpretazioni sbagliate. L'esempio che segue illustra il risultato di una lettura "affrettata" di una relazione ottenuta applicando parecchie semplificazioni. Per inciso ricordiamo che le "formule" le usa Maga Magò, in generale si devono chiamare "relazioni".

Il Rendimento dell'altoparlante
Capita di leggere che il rendimento di un altoparlante è proporzionale alla sua VAS (Volume equivalente). Se il rendimento dell'altoparlante viene espresso con grandezze tra loro ortogonali, la VAS non compare (almeno adottando il modello più semplice massa-molla-smorzatore). Quindi, se la variazione della frequenza di risonanza è ottenuta solo modificando la VAS, il rendimento resta lo stesso. Può aumentare a certe frequenze ma diminuisce in altre (ci si dovrebbe intendere sulla definizione di rendimento che deve fare riferimento allo spettro dello stimolo).
Immagine
Nella figura qui sopra sono riportate due espressioni del rendimento che si trovamo in letteratura. La prima esprime il rendimento con grandezze tra loro ortogonali (o almeno quasi ortogonali).
Nella seconda la VAS appare al numertore quindi sembra che il rendimento aumenti aumentando VAS o diminuisca riducendo fs.
Queste espressioni (molto semplificate) non presentano alcuna dipendenza dalla frequenza quindi valgono al di sopra della frequenza di risonanza (dove Rs è maggiore di Zes, ka<<1 ovvero l'altoparlante si comporta come un pistone rigido ideale e Le trascurabile) in pratica nella regione medio-bassa per un woofer con anelli di demodulazione.

Nota: due grandezze (o meglio due variabili di stato di un sistema , o due versori) si dicono "ortogonali" quando la variazione dell'una non comporta una variazione dell'altra (cioè quando sono indipendenti una dall'altra). Il concetto di ortogonalità è fondamentale nella determinazione delle variabili di stato e di conseguenza nei sistemi di misura. Per esempio, per descrivere le caratteristiche della riproduzione sonora (e poterle riferire a delle misure) è necessario
- definire degli attributi (del suono) tra loro ortogonali (che si può fare)
- stabilire le grandezze misurabili che le rappresentano (che è stato fatto)
- stabilire le procedure di misura (fatto anche questo).
Questo lavoraccio è stato iniziato da Beranek nel 1960 ed è ancora in corso ma tra i suoi frutti ci sono i criteri applicati nella auralizzazione degli ambienti.

L'espressione del rendimento di Thiele e Small è una approssimazione e non è valida in generale. Infatti se RE va a zero il rendimento va a infinito. L' espressione del rendimento non può avere un valore asintotico maggiore di 1. Quando si legge una relazione o si fa qualsiasi tipo di ragionamento, se questo porta a violare la conservazione dell'Energia o il Secondo Principio della Termodinamica significa che è "difettoso" o che, al massimo, può essere valido in condizoni particolari (che vanno specificate chiaramente). Le considerazioni energetiche hanno la precedenza su qualsiasi altro tipo di considerazione. L'espressione del rendimento di Thiele e Small è valida solo se le ipotesi utilizzate per ottenerla sono verificate (e non sono poche).
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Re: Le analogie Elettromeccaniche

#8 Messaggio da MarioBon »

Torniamo all'espressione del rendimento riscrivendola per mettere in evidenza:
l = lunghezza del filo della bobina mobile
D = densità superficiale (massa per unità di superficie)
r = resistività per metro del filo della bobina.
Immagine

l => non può essere lungo a piacere perchè aumentando l aumenta anche la massa, aumentando gli strati diminuisce la larghezza del traferro e si riduce B.
D => non può essere piccolo a piacere perchè ad un certo punto il diaframma non regge il proprio peso e comunque è limitata dalla massa dell'avvolgimento
B => non può essere grande a piacere perchè il traferro non può essere annullato ed la sua dimensione è condizionata dallo spessore della bobina mobile.
r => resitività del filo per metro (della bobina) non può essere migliore di quella dell'argento e, in più, aumentando la sezione del filo, si deve allargare il traferro ed il campo B diminuisce.

In questo modo emergono i limiti fisici e tecnologici che impediscono di aumantare il rendimento oltre determinati limiti e si capisce anche perchè i parametri che caratterizzano l'altoparlante dinamico siano solo "quasi ortogonali" tra loro. In un modo o nell'altro è difficile superare l'8% di rendimento. In particolare se D è troppo basso il diaframma è soggetto a break-up e si perde in banda passante utile e qualità della riproduzione.
In sintesi, per aumentare al massimo il rendimento si deve diminuire D e questo, in qualche modo, sacrifica la qualità della riproduzione.
Prendete un catalogo di woofer professionali e valutate il rapporto Mms/Sd moltiplicato per 10 (con SD in centimetri quadri e la massa in grammi.
per esempio il
18W1001 SD=1134 cmq Mms=130gr => 10D = 10 130/1134 = 1.14
18NLW9600 SD=1134 cm1 Mms=261gr => 10D = 10 261/1134 = 2.30
Il woofer è "Pesante" se 10D>1 oppure "Leggero" se 10D<1. Anche i woofer professionali sono "pesanti" (e traggono il rendimento dal fattore di forza BL). E' difficile realizzare un woofer, ben suonante, con 10D minore di 0.6.
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#9 Messaggio da MarioBon »

Beranek ("Acoustics" pag. 139) introduce l'argomento "Trasformatori Acustici" e lo tratta in più situazioni. Il primo caso trattato riguarsa "la giunzione tra due tubi di sezione diversa". Beranek limita la validità della trattazione all'ipotesi che la larghezza del tubo più grande sia minore di un sedicesimo della lunghezza d'onda. Nessuna ipotesi viene fatta sul tubo di sezione inferiore. La conclusione è che non è necessario alcun trasformatore.
In realtà è necessario porre un'ipotesi anche sul diamero del condotto più piccolo ed in particolare questo non deve essere "troppo piccolo" altrimenti si genera riflessione, diffrazione e turbolenza (quest'ultima otre un certo limite di velocità dell'aria). In sostanza, stando all'unica ipotesi fatta da Beranek, il trasformatore non è necessario in nessuno dei casi mostrati nella figura che segue:
Immagine
Nella realtà il trasformatore non è necessario solo se pressione e velocità, ai due lati della discontinuità, sono le stesse quindi se la variazione della sezione è trascurabile (il che consente di trascurare riflessione e diffrazione ai bordi).
Abbiamo così un esempio che mostra l'importanza delle ipotesi alla base di una analisi: ipotesi insufficiente => conclusioni discutibili. In questo caso, per verificare la validità del ragionamento, si è portato lo stesso alle estreme conseguenze (che è uno dei metodi di verifica delle teorie).
Beranek continua dicendo:
"Per il caso di un circuito che usa elementi meccanici concentrati la discontinuità appare essere un trasfomatore...". Se sussiste l'analogia elettrica-acustica il trasformatore (o il suo analogo) c'è o non c'è in entrambe i casi; l'analogia (ovvero l'isomorfismo) o c'è o non c'è.
Beranek sostiene che il trasformatore è necessario quando:
Immagine
Questa però è la stessa situazione di prima e anche le ipotesi sono rimaste le stesse. L'analogia riguarda i sistemi meccanici-elettrici-acustici (e non necessariamente in quest'ordine). Se Beranek avesse adottato l'analogia acustica del raccordo-trasformatore proposta da Olson avrebbe avuto meno problemi.
Si noti che nel modello di Olson sono presenti due diaframmi ideali che eseguono la trasformazione. Nel caso fosse S1=S2 la matrice di trasmissione del trasformatore ideale sarebbe
A=1 ; B=0 ; C=0 ; D=1 (matrice identità). Il moello di Olson funziona meglio.
Il terzo passaggio di Beranek introduce alla vera questione: "Si deve notare che una onda riflessa sarà mandata indietro dalla discontinuità semplice..." e calcola la pressione trasmessa (pt) in funzione della pressione incidente (pi) come:
pt = 2 S1/(S1+S2).
Questo però significa che il racccordo non poteva essere rappresentato da un trasformatore che non prevede questa riflessione.
L'ultimo passaggio riguarda il calcolo della pressione trasmessa quando il raccordo è un tronco di tromba esponenziale:
Immagine
Abbiamo così tre situazioni:
- a bassa frequenza il trasformatore non serve (indipendentemente dal rapporto S1/S2);
- a frequenze intermedie c'è riflessione sulla discontinuità semplice e l'impedenza dipende dalla forma del raccordo;
- ad alta frequenza la discontinuità di comporta come un trasformatore ma con "rapporto di trasformazione" pari alla radice del rapporto delle superfici.

Alla fine non è molto chiaro come si deve trattare una discontinuità e se il raccordo esponenziale (ovvero la tromba esponenziale) sia o non sia un trasformatore. Evidentemente non lo è perchè la matrice di trasmissione del trasformatore non presenta seni e coseni.
Tutto questo nasce
- dalla volontà di semplificare a tutti i costi (anche quando non serve)
- dal non aver utilizzato gli isomorfismi
- dal limitarsi a considerazioni euristiche (con ipotesi insufficienti).
Poi qualcuno ci casca e si convince che una tromba sia l'analogo di un trasformatore.

Il modo corretto per modellizzare la discontinuità tra due condotti è il seguenete
||A|| = ||As1|| x ||Ad|| x ||As2||
A = matrice di trasmissione totale
As1 = matrice di trasmissione condotto di sinistra
Ad = matrice di trasmissione discontinuità
As1 = matrice di trasmissione condotto di destra
Volendo a sinistra di ||As1|| si può inserire la sorgente e a destra di ||As2|| il carico.
Questo modello va completato con le opportune ipotesi (per esempio propadazione per onde piane nei condotti, assenza di turbolenza e diffrazione, lunghezza d'onda opportuna, ecc.).
Torniamo un momento al raccordo semplice:
Immagine
Se i due condotti sono abbastanza lunghi, il massimo che può succedere è che il prodoto pressione x velocità sui due lati sia lo stesso (stessa potenza acustica). In particolare a sinistra la pressione è alta e la velocità bassa mentre a destra la velocità è bassa e la pressione alta. La potenza acustica è il prodotto della pressione per il complesso coniugato della velocità (o coniugato della pressione per velocità... tanto la parte reale della potenza rimane uguale).
Questo giustifica due cose: il fatto che il raccordo sia modellizato con un trasformatore (anche se non è vero...) e anche il fatto che il calcolo del rendimento venga fatto con molte semplificazioni (quando si fanno i calcoli la presenza del complesso comìniugato complica le cose...).
Il fatto che la potenza acustica sia (al massimo) la stessa sui due lati della discontinuità e ad una certa distanza dalla discontinuità stessa, significa anche che questo risultato è indipendente dalla particolare forma del raccordo. Ne segue che aumentare il "rapporto di compressione" alla gola di una tromba non aumenta il rendimento del dispositivo.
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#10 Messaggio da MarioBon »

L'isomorfismo è una particolare corrispondenza biunivoca tra sistemi che richiede:
- due sistemi
- la corrispondenza biunivoca tra gli elementi dei due insiemi di supporto
- la corrispondenza biunivoca tra le strutture (tra le operazioni) definite sui due insiemi
- la corrispondenza biunivoca tra i risultati di operazioni corrispondenti tra elementi corrispondenti.

Tanto per rendere l'idea di quanto siano importanti, l'isomorfismo è quella corrispondenza che ci consente di contare mele, pere, pecore e cammelli, con i numeri naturali. Infatti l'ismorfismo prescinde dalla particolare natura degli enti degli insiemi di supporto (e questo consente di tracciare i circuiti analoghi con elementi elettrici, meccanici, acustici, ecc.).
Immagine
nella figura qui sopra si vede la corrispondeza tra gli elementi dell'insieme delle case ei i numeri naturali, la corrispondeza tra le operazioni e la corrispondenza tra i risultati.
Usiamo gli isomorfismi dalla mattina alla sera per poi "dimenticarli" e, come conseguenza, commettere errori.
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