... esistono gli amplificatori digitali?
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... esistono gli amplificatori digitali?
Occasionalmente, si fa confusione tra il concetto di classe D e quello di amplificatore digitale.
Questo equivoco ha probabilmente due ragioni:
- il fatto che la classe D lavori ad impulsi (cioè, i finali operino su livelli discreti);
- il fatto che 'D' sia, incidentalmente, l'iniziale di digitale.
Come abbiamo visto negli altri thread in cui abbiamo parlato di classe D, tradizionalmente questa architettura di amplificazione è puramente analogica.
La tecnica usata è la PWM, pulse-width modulation, modulazione della larghezza degli impulsi. La "larghezza" (intesa come durata temporale) assume un insieme continuo di valori, in altre parole è analogica.
Tradizionalmente, i classe D sono puramente analogici.
In merito ai Tripath (commercialmente identificati come classe T, ma a tutti gli effetti amplificatori in classe D) si è detto che utilizzassero tecniche mutuate dal campo del digital signal processing (DSP), nell'anello di feedback. Questo non rende un amplificatore "digitale" di per sé, ma rappresenta una possibile applicazione del digitale alla classe D.
(segue...)
Questo equivoco ha probabilmente due ragioni:
- il fatto che la classe D lavori ad impulsi (cioè, i finali operino su livelli discreti);
- il fatto che 'D' sia, incidentalmente, l'iniziale di digitale.
Come abbiamo visto negli altri thread in cui abbiamo parlato di classe D, tradizionalmente questa architettura di amplificazione è puramente analogica.
La tecnica usata è la PWM, pulse-width modulation, modulazione della larghezza degli impulsi. La "larghezza" (intesa come durata temporale) assume un insieme continuo di valori, in altre parole è analogica.
Tradizionalmente, i classe D sono puramente analogici.
In merito ai Tripath (commercialmente identificati come classe T, ma a tutti gli effetti amplificatori in classe D) si è detto che utilizzassero tecniche mutuate dal campo del digital signal processing (DSP), nell'anello di feedback. Questo non rende un amplificatore "digitale" di per sé, ma rappresenta una possibile applicazione del digitale alla classe D.
(segue...)
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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
Ora, abbiamo detto che il fondamento della classe D è la modulazione di larghezza degli impulsi.
In altre parole, lo stadio finale modula impulsi più o meno larghi in base al livello, analogico, del segnale di ingresso.
Ma immaginiamo di avere un segnale in ingresso digitale: ho un numero (per esempio 10) che voglio tradurre in una durata di impulso (per esempio 10 millisecondi). Come posso fare?
Beh, il principio è simile a quello di un orologio, o un contatore. Parto da un clock sufficientemente preciso (per esempio 1 kHz, un ciclo a millisecondo) e "conto" quanti cicli di clock devono trascorrere (10) prima di "spegnere" l'uscita. Ovviamente la precisione della durata dell'impulso sarà data dalla frequenza di clock. In questo caso, possiamo aspettarci un errore intorno al 5% (mezzo ciclo).
Alzando la frequena di clock, la precisione migliora. Se la precisione è sufficientemente alta, sarà pressoché impossibile "distinguere" la natura discreta della durata degli impulsi.
Un po' come nella conversione A/D/A tradizionale, con un numero di bit sufficientemente alto, si riduce il rumore di quantizzazione al di sotto del rumore tipico delle elettroniche.
Abbiamo trascurato un po' di dettagli, per esempio: per quanto tempo deve stare "spenta" l'uscita. Ma, almeno concettualmente, abbiamo mostrato come non sia un'idea troppo bizzarra disegnare un convertitore da digitale a PWM.
Ci potrebbe venire in mente un'altra analogia. I moderni convertitori A/D (ADC) e D/A (DAC) usano una tecnica chiamata "delta sigma" che a partire da un ingresso analogico o digitale genera un treno di impulsi la cui densità nel tempo è proporzionale all'ingresso. Parliamo quindi di PDM, o pulse density modulation.
Vengono spontanee alcune domande:
- perché nel campo di potenza si usa la PWM e nel campo di segnale si usa la PDM?
- si possono realizzare amplificatori in classe D basati sulla tecnica delta sigma, e quindi con uscita PDM anziché PWM?
- si può realizzare, genericamente, un "DAC di potenza"?
Da un punto di vista teorico non so rispondere in modo puntuale. Ci sono probabilmente questioni legate alla distribuzione spettrale del segnale in uscita (da filtrare) e all'architettura di feedback.
In pratica, se esistono prodotti che incarnano determinate categorie... li scoveremo
In altre parole, lo stadio finale modula impulsi più o meno larghi in base al livello, analogico, del segnale di ingresso.
Ma immaginiamo di avere un segnale in ingresso digitale: ho un numero (per esempio 10) che voglio tradurre in una durata di impulso (per esempio 10 millisecondi). Come posso fare?
Beh, il principio è simile a quello di un orologio, o un contatore. Parto da un clock sufficientemente preciso (per esempio 1 kHz, un ciclo a millisecondo) e "conto" quanti cicli di clock devono trascorrere (10) prima di "spegnere" l'uscita. Ovviamente la precisione della durata dell'impulso sarà data dalla frequenza di clock. In questo caso, possiamo aspettarci un errore intorno al 5% (mezzo ciclo).
Alzando la frequena di clock, la precisione migliora. Se la precisione è sufficientemente alta, sarà pressoché impossibile "distinguere" la natura discreta della durata degli impulsi.
Un po' come nella conversione A/D/A tradizionale, con un numero di bit sufficientemente alto, si riduce il rumore di quantizzazione al di sotto del rumore tipico delle elettroniche.
Abbiamo trascurato un po' di dettagli, per esempio: per quanto tempo deve stare "spenta" l'uscita. Ma, almeno concettualmente, abbiamo mostrato come non sia un'idea troppo bizzarra disegnare un convertitore da digitale a PWM.
Ci potrebbe venire in mente un'altra analogia. I moderni convertitori A/D (ADC) e D/A (DAC) usano una tecnica chiamata "delta sigma" che a partire da un ingresso analogico o digitale genera un treno di impulsi la cui densità nel tempo è proporzionale all'ingresso. Parliamo quindi di PDM, o pulse density modulation.
Vengono spontanee alcune domande:
- perché nel campo di potenza si usa la PWM e nel campo di segnale si usa la PDM?
- si possono realizzare amplificatori in classe D basati sulla tecnica delta sigma, e quindi con uscita PDM anziché PWM?
- si può realizzare, genericamente, un "DAC di potenza"?
Da un punto di vista teorico non so rispondere in modo puntuale. Ci sono probabilmente questioni legate alla distribuzione spettrale del segnale in uscita (da filtrare) e all'architettura di feedback.
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- MarioBon
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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
da analogico a PWM


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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
A questo punto bisognerebbe stabilire cosa intendiamo per "digitale".
Un segnale che assume valori discreti e che varia solo su intervalli discreti di tempo, può "ad occhio" sembrare digitale, ma nei fatti non lo è. Digitale equivale numerico: se il segnale è interpretato come "numero" allora è digitale, altrimenti è analogico. Insomma, si può argomentare, non è solo questione di forma del segnale stesso, ma anche di come viene usato nel sistema preso in esame.
Secondo questa interpretazione, non esiste un amplificatore completamente digitale. Qualsiasi sia la forma dell'uscita degli stadi di potenza, quel segnale "agisce" come un segnale analogico a tutti gli effetti.
Nel gergo dell'industria, per "amplificatore digitale" (talvolta indicato come "full digital amplifier", FDA) si intende generalmente un amplificatore a commutazione (classe D) a controllo digitale.
Il TACT Millennium di Toccata Technology (1999) è considerato tra i primi, se non il primo, amplificatore "full digital".
Raccontava Bruno Putzeys nel 2004 (parlando, tra le altre cose del TACT) che il problema di un amplificatore a controllo digitale riguarda per lo più la correzione di errore.
Se si fa a meno della correzione di errore (feedback) non si raggiungono livelli qualitativi adeguati per l'hi-fi. Se si usa la correzione di errore, occorre riportare all'ingresso (digitale) un segnale di feedback dall'uscita (analogica). Dal dominio analogico difficilmente si scappa.
Sempre Putzeys spiegava bene nel 2005 su DIYaudio alcuni equivoci intorno all'idea di amplificatore digitale.
Un segnale che assume valori discreti e che varia solo su intervalli discreti di tempo, può "ad occhio" sembrare digitale, ma nei fatti non lo è. Digitale equivale numerico: se il segnale è interpretato come "numero" allora è digitale, altrimenti è analogico. Insomma, si può argomentare, non è solo questione di forma del segnale stesso, ma anche di come viene usato nel sistema preso in esame.
Secondo questa interpretazione, non esiste un amplificatore completamente digitale. Qualsiasi sia la forma dell'uscita degli stadi di potenza, quel segnale "agisce" come un segnale analogico a tutti gli effetti.
Nel gergo dell'industria, per "amplificatore digitale" (talvolta indicato come "full digital amplifier", FDA) si intende generalmente un amplificatore a commutazione (classe D) a controllo digitale.
Il TACT Millennium di Toccata Technology (1999) è considerato tra i primi, se non il primo, amplificatore "full digital".
Raccontava Bruno Putzeys nel 2004 (parlando, tra le altre cose del TACT) che il problema di un amplificatore a controllo digitale riguarda per lo più la correzione di errore.
Se si fa a meno della correzione di errore (feedback) non si raggiungono livelli qualitativi adeguati per l'hi-fi. Se si usa la correzione di errore, occorre riportare all'ingresso (digitale) un segnale di feedback dall'uscita (analogica). Dal dominio analogico difficilmente si scappa.
Sempre Putzeys spiegava bene nel 2005 su DIYaudio alcuni equivoci intorno all'idea di amplificatore digitale.
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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
La definizione di "full digital amplifier" (definizione che ora sappiamo va presa con le pinze) è stata usata anche dall'industria dei semiconduttori.
Lo STA350BW di STMicroelectronics è un circuito integrato che incarna bene questa idea. È un amplificatore in classe D che può lavorare a due o tre canali (stereo o 2.1). Ha ingresso digitale ed incorpora un DSP che permette di programmare, a bordo dell'amplificatore, un filtro crossover.
Per la loro versatilità, integrati di questo tipo hanno trovato uso a bordo di monitor da studio biamplificati di fascia entry level, come le JBL LSR 305. Da notare che, nonostante l'amplificatore sia controllato digitalmente, il diffusore ha soltanto ingressi analogici. Tutti i segnali in ingresso passano per un convertitore A/D prima di essere inviati all'amplificatore (a controllo digitale). Magari poi stiamo a discutere di quale DAC suoni meglio
Un'altra applicazione dei chip di questa famiglia è quella dei piccoli ed economici amplificatori "da tavolo", in genere di provenienza orientale, come l'Alientek D8. Almeno questo amplificatore presenta ingressi digitali.
Esistono configurazioni in cui modulatore PWM (a controllo digitale) e stadio di potenza sono in due IC separati. Texas Instruments offre soluzioni di questo tipo. Un esempio di applicazione è un altro amplificatore cinese, lo SMSL AD18 basato sulla combinazione TAS5508C e TAS5342A.
In sintesi, quando si parla di "amplificatore digitale" si intende un "amplificatore a commutazione (classe D) a controllo digitale".
Ad oggi, almeno guardando ai prodotti inseriti più di recente a catalogo, mi sembra che l'industria dei semiconduttori stia proponendo sempre più spesso design in cui nello stesso chip sono integrati un DAC tradizionale e un finale in classe D analogico.
Da un punto di vista tecnico ed industriale ha perfettamente senso. Permette di riutilizzare design già esistenti e maturi (DAC e amp in classe D), anziché doverne mantenere uno "speciale" (classe D a controllo digitale).
Forse gli "amplificatori digitali" spariranno, salvo in applicazioni miniaturizzate e di bassissima potenza.
Lo STA350BW di STMicroelectronics è un circuito integrato che incarna bene questa idea. È un amplificatore in classe D che può lavorare a due o tre canali (stereo o 2.1). Ha ingresso digitale ed incorpora un DSP che permette di programmare, a bordo dell'amplificatore, un filtro crossover.
Per la loro versatilità, integrati di questo tipo hanno trovato uso a bordo di monitor da studio biamplificati di fascia entry level, come le JBL LSR 305. Da notare che, nonostante l'amplificatore sia controllato digitalmente, il diffusore ha soltanto ingressi analogici. Tutti i segnali in ingresso passano per un convertitore A/D prima di essere inviati all'amplificatore (a controllo digitale). Magari poi stiamo a discutere di quale DAC suoni meglio

Un'altra applicazione dei chip di questa famiglia è quella dei piccoli ed economici amplificatori "da tavolo", in genere di provenienza orientale, come l'Alientek D8. Almeno questo amplificatore presenta ingressi digitali.
Esistono configurazioni in cui modulatore PWM (a controllo digitale) e stadio di potenza sono in due IC separati. Texas Instruments offre soluzioni di questo tipo. Un esempio di applicazione è un altro amplificatore cinese, lo SMSL AD18 basato sulla combinazione TAS5508C e TAS5342A.
In sintesi, quando si parla di "amplificatore digitale" si intende un "amplificatore a commutazione (classe D) a controllo digitale".
Ad oggi, almeno guardando ai prodotti inseriti più di recente a catalogo, mi sembra che l'industria dei semiconduttori stia proponendo sempre più spesso design in cui nello stesso chip sono integrati un DAC tradizionale e un finale in classe D analogico.
Da un punto di vista tecnico ed industriale ha perfettamente senso. Permette di riutilizzare design già esistenti e maturi (DAC e amp in classe D), anziché doverne mantenere uno "speciale" (classe D a controllo digitale).
Forse gli "amplificatori digitali" spariranno, salvo in applicazioni miniaturizzate e di bassissima potenza.
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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
Nella categoria degli "amplificatori digitali" ricordiamo, in anni recenti, il Technics SU-C700.

Sulla scheda prodotto Technics illustra l'architettura di questo amplificatore. Abbiamo un reclock / resampling del segnale in ingresso seguito da una modulazione PWM a controllo digitale.

Insomma, esattamente ciò di cui parlavamo all'inizio. Naturalmente, eventuali segnali analogici in ingresso saranno convertiti in digitale.
È interessante notare come la pubblicistica di settore sia la prima a fare confusione sul tema.
La recensione di What Hi-Fi parla di "DAC a bordo". Sappiamo che è una testata molto parziale nel favorire i prodotti inglesi, ma qui mostrano davvero di non aver nemmeno letto la brochure del costruttore.
Un articolo su AFDigitale.it (testata online la cui qualità media degli scritti è mediamente molto bassa) indica che il "DAC integrato è il Texas Instruments PCM1804". Peccato che il PCM1804 sia un ADC, e il suo ruolo sia esattamente quello di produrre i segnali digitali da inviare all'amplificatore di potenza.
Infine, su Estatica, la recensione sostiene che il prodotto "non amplifica il segnale analogico, ma quello digitale, ma non solo, vuol dire che ai diffusori arriva un segnale digitale". Naturalmente questa è una grossa imprecisione, per i motivi che abbiamo visto fino a qui.

Sulla scheda prodotto Technics illustra l'architettura di questo amplificatore. Abbiamo un reclock / resampling del segnale in ingresso seguito da una modulazione PWM a controllo digitale.

Insomma, esattamente ciò di cui parlavamo all'inizio. Naturalmente, eventuali segnali analogici in ingresso saranno convertiti in digitale.
È interessante notare come la pubblicistica di settore sia la prima a fare confusione sul tema.
La recensione di What Hi-Fi parla di "DAC a bordo". Sappiamo che è una testata molto parziale nel favorire i prodotti inglesi, ma qui mostrano davvero di non aver nemmeno letto la brochure del costruttore.
Un articolo su AFDigitale.it (testata online la cui qualità media degli scritti è mediamente molto bassa) indica che il "DAC integrato è il Texas Instruments PCM1804". Peccato che il PCM1804 sia un ADC, e il suo ruolo sia esattamente quello di produrre i segnali digitali da inviare all'amplificatore di potenza.
Infine, su Estatica, la recensione sostiene che il prodotto "non amplifica il segnale analogico, ma quello digitale, ma non solo, vuol dire che ai diffusori arriva un segnale digitale". Naturalmente questa è una grossa imprecisione, per i motivi che abbiamo visto fino a qui.
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Re: ... esistono gli amplificatori digitali?
Qualche anno fa Clarion propose un sistema "full digital sound" che, a detta del costruttore, non implementa alcuna conversione in analogico.
Il sistema è ancora presente sul sito, ma marcato come "discontinued": https://www.clarion.com/xe/en/products- ... ds-system/
Il sistema è stato presentato in AudioReview 379 (nella sezione AudioCarStereo): https://www.rgsound.it/prodotti/atch/n_ ... 9mac-5.pdf
L'idea di Clarion sembra quella di usare una qualche forma di modulazione per "scomporre" il segnale digitale in più segnali (si presume a livelli discreti) che vanno a pilotare altoparlanti con multiple bobine mobili (due per il tweeter, sei per il midwoofer).
Per quanto non si trovino dettagli troppi specifici, il principio potrebbe ricordare quello di un DAC R2R dove ciascun bit aziona un generatore di corrente la cui uscita è "pesata" da una rete di resistenze.
In questo caso, si può immaginare che le bobine mobili abbiano lunghezze differenti, e che questo permetta di pesare diversamente ogni "bit": il bit zero (meno significativo) va ad una bobina di lunghezza L, il bit 1 va ad una bobina di lunghezza 2L, il bit 2 ad una bobina di lunghezza 4L e così via.
Per ridurre il flusso da 16 (o 24 bit) a 2 (tweeter) o 6 (woofer) si può immaginare che il sistema usi una qualche forma di modulazione delta sigma multi-bit per ridurre il numero di bit (aumentando, si presume, la frequenza di campionamento).
Se qualcuno ne sa di più... intervenga.
Come esercizio quello di Clarion è forse interessante, ma sembra la tipica soluzione sofisticata ad un problema non realmente esistente
Il sistema è ancora presente sul sito, ma marcato come "discontinued": https://www.clarion.com/xe/en/products- ... ds-system/
Il sistema è stato presentato in AudioReview 379 (nella sezione AudioCarStereo): https://www.rgsound.it/prodotti/atch/n_ ... 9mac-5.pdf
L'idea di Clarion sembra quella di usare una qualche forma di modulazione per "scomporre" il segnale digitale in più segnali (si presume a livelli discreti) che vanno a pilotare altoparlanti con multiple bobine mobili (due per il tweeter, sei per il midwoofer).
Per quanto non si trovino dettagli troppi specifici, il principio potrebbe ricordare quello di un DAC R2R dove ciascun bit aziona un generatore di corrente la cui uscita è "pesata" da una rete di resistenze.
In questo caso, si può immaginare che le bobine mobili abbiano lunghezze differenti, e che questo permetta di pesare diversamente ogni "bit": il bit zero (meno significativo) va ad una bobina di lunghezza L, il bit 1 va ad una bobina di lunghezza 2L, il bit 2 ad una bobina di lunghezza 4L e così via.
Per ridurre il flusso da 16 (o 24 bit) a 2 (tweeter) o 6 (woofer) si può immaginare che il sistema usi una qualche forma di modulazione delta sigma multi-bit per ridurre il numero di bit (aumentando, si presume, la frequenza di campionamento).
Se qualcuno ne sa di più... intervenga.
Come esercizio quello di Clarion è forse interessante, ma sembra la tipica soluzione sofisticata ad un problema non realmente esistente

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